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Un concerto… nel nome del padre

De André canta De André

Quella di Cristiano De André non è mai stata una carriera semplice, col fardello di un cognome così ingombrante sulle spalle e la difficoltà a farsi accettare come (ottimo) cantautore, staccandosi di dosso l’etichetta di chi lo bollava solamente come “il figlio di Fabrizio”.
Ci ha messo degli anni, ma finalmente adesso il pubblico e la critica gli riconoscono il giusto posto nel panorama musicale italiano, e allora può anche permettersi il lusso di “riappacificarsi” col repertorio del padre, portandolo in scena con serenità, tra un progetto solista e l’altro, come fosse una missione, per tramandare alle nuove generazioni, a quelli che non hanno mai avuto la possibilità di vedere Faber dal vivo, la bellezza di quelle canzoni, patrimonio della cultura italiana del novecento.

Cristiano che si esibirà il 12 maggio al Gran Teatro Geox di Padova per la terza volta da quando ha avuto il coraggio di prendere in mano le opere del padre, per questa nuova edizione, ha messo in scaletta canzoni che non hanno fatto parte dei tour precedenti. Cristiano è accompagnato dai 3D, ovvero Davide Devito alla batteria, Davide Pezzin al basso e Davide Repele alle chitarre, più Max Marcolini a tastiere, programmazioni e arrangiamenti.
Il concerto è un susseguirsi di emozioni e ricordi, affidati alle canzoni ma anche narrati dalla viva voce di Cristiano, che oltre a suonare la chitarra si destreggia alla perfezione con bouzouki, pianoforte e violino, dimostrando il suo immenso talento come musicista.
La prima parte è affidata a brani degli ultimi tre album di Faber, e si parte con il genovese di Sinàn Capudàn Pascià (Crêuza de mä, 1984) e de  çímma (Nuvole, 1990), per poi fare un salto un po’ più a sud, raccontando di Don Raffaè, sempre dallo stesso album. Khorakhané e Dolcenera arrivano dall’ultimo lavoro in studio di Fabrizio, Anime salve, datato 1996, e da qui in poi si parte per percorrere a ritroso la carriera di Fabrizio così come la vita di Cristiano, aprendo di tanto in tanto il baule dei ricordi e ripescando racconti di tanti anni fa come quello su Pasolini, a cui è dedicata Una storia sbagliata.

Tra brani meno noti ma non per questo da considerare minori (Coda di lupo, Canzone per l’estate, Il bombarolo) e i pezzi più famosi e acclamati dal pubblico (Il testamento di Tito, Crêuza de mä), si arriva ad un’inedita versione de La guerra di Piero, dall’atmosfera lenta e, se possibile, ancor più sofferta dell’originale, sostenuta solo dalle tastiere e da qualche piccolo fraseggio di chitarra.
Quasi a voler fermare, immortalare l’emozione di quel momento e a volerla lasciare lì, fino a fine concerto sarà il ritmo a prevalere, e allora Quello che non ho e Fiume Sand Creek, entrambe dall’album Indiano del 1981, vanno a chiudere la prima parte, mentre i bis vedono  duménega, Volta la carta e Il pescatore, in una versione decisamente rock.
Siamo ai saluti finali, tutto il pubblico è in piedi e si accalca sotto il palco per tributare il giusto omaggio a Cristiano, alla band e al ricordo di Faber, che per una notte ha vissuto ancora interpretato in maniera impeccabile dall’unico vero erede del suo patrimonio musicale. E allora C., come era solito chiamarlo Fabrizio, per ringraziare il pubblico dell’affetto, decide di regalare un’ultima perla, La canzone dell’amore perduto, che unisce tutti in un unico coro, come una smisurata preghiera… nel nome del padre.

Pagina a cura di ZedLive! e A.C.M.

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