Quella dei falò epifanici è una tradizione che ha radici antiche e storiche in Friuli Venezia Giulia, con rievocazioni che simbolicamente, soprattutto nelle località dell’Alta Carnia, riportano indietro negli anni e nei secoli le singole comunità. Una tradizione che si perde nella notte dei tempi, in cui il sacro si mescola con il profano, all’insegna del fuoco, simbolo purificatore e rigeneratore.
Un’usanza che, a dire il vero, si può trovare in diverse regioni d’Italia ma che in Friuli Venezia Giulia acquista un valore del tutto particolare, essendo molto sentita e caratterizzata da riti propiziatori e simbolici in cui si affiancano celebrazioni religiose altrettanto antiche e sentite.
Con i Pignarûi- altissimi falò propiziatori che illuminano la notte- e le rievocazioni storiche, il 5 e il 6 gennaio riemergono in tutta la regione antichissime e suggestive usanze. Puntualmente, nei giorni dell’Epifanìa, rivivono antichi riti in cui si fondono tradizioni pagane e cristiane, con protagonista, dal mare alle montagne, il fuoco, elemento rituale, che arde in molte località e accende il paesaggio con le luci di piccoli e grandi falò: uno spettacolo davvero unico.
Secondo quanto documentato in varie pubblicazioni, la tradizione delle pire di fuoco ha origini antichissime, celtiche. La loro accensione era un rito che allontanava gli influssi malefici invocando la benevolenza delle divinità. Il Cristianesimo fa sua questa tradizione. Ancor oggi alla vigilia dell’Epifanìa vengono accesi i pignarûi (chiamati anche foghère o pan e vin), grandi falò propiziatori, per lo più collocati sull’alto dei colli. Mentre bruciano, in base all’orientamento di fumo e faville, si traggono previsioni sul nuovo anno. Attorno, la gente mangia la tradizionale pinza (una focaccina con farina di mais, pinoli, fichi secchi, uvetta) bevendo vin brulè (vino caldo aromatizzato con cannella e chiodi di garofano), sintesi genuina di questa antica festa.
Fra i falò più belli e suggestivi vi è il Pignarûl Grant di Tarcento, cittadina sulle colline prospicienti Udine, che arde su un’altura, tra le rovine del Cjastelàt (Castello). All’imbrunire del 5 gennaio un corteo di centinaia di figuranti in costume medievale percorre le strade del paese fino ai piedi del Colle di Coia, dove il Vecchio venerando (metà druido, metà sacerdote) accende il rogo. Altri e più piccoli falò brillano nelle frazioni vicine, punteggiando la notte. A concludere la festa i rappresentanti delle borgate (Pignarûlars), muniti di fiaccola, partecipano alla spettacolare Corsa dei carri infuocati per conquistare il Palio.
Sempre alla Carnia e all’Epifania è legata la tradizione de Las Cidules. A Comeglians e Pesariis i giovani lanciano dalla cima di alture delle rotelle di legno infuocate, che illuminano la notte con imprevedibili traiettorie. Frasi beneauguranti, legate soprattutto all’amore, accompagnano il volo.
Ma i falò – che in Fvg acquistano i nomi più disparati – illuminano le sere dell’Epifania un pò ovunque, con volontari che per tempo si danno da fare per la loro realizzazione, facendo sì che alla tradizione si accompagni anche un momento di festa e di stare insieme, a salutare l’arrivo del nuovo anno cui affidare i propri sogni e le proprie speranze.
Nei giorni dell’Epifanìa, in Friuli Venezia Giulia si celebrano, inoltre, anche antiche cerimonie religiose che riportano alla luce gesti e riti le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Una di queste, particolarmente significativa, è la Messa dello Spadone che si svolge a Cividale del Friuli e risale al periodo più fiorente della vita di questa antica città, che si stende lungo il corso del fiume Natisone, all’imbocco delle omonime Valli. Porta di antichi traffici con il Centro Europa, Cividale fu fondata nel 50 a. C. da Cesare, che le diede il nome di Forum Iulii (da cui deriva Friuli, definizione che si è estesa poi a tutto il territorio). Nel VI secolo d. C. i Longobardi ne fecero la capitale del loro primo Ducato in Italia, e durante il Medioevo, il Patriarca, feudatario del Friuli, vi riceveva l’investitura dell’Imperatore.
Qui ogni anno, il 6 gennaio, il Duomo ospita una cerimonia, nel corso della quale viene riproposta la solenne investitura del Patriarca Morquardo Von Randeck, avvenuta nell’Epifanìa del 1366. In questa occasione il Diacono di Cividale si presenta stringendo nella mano destra una spada sguainata e nella sinistra un antichissimo e prezioso Evangelario. Con il capo coperto da un elmo piumato, benedice la folla col fendente, attestando con la sua presenza il doppio potere, temporale e spirituale, di cui un tempo era investito il feudatario.
La spada è ancora quella originale appartenuta al Patriarca Marquardo von Randeck, che fece il suo ingresso in città nel 1366, l’evento che si ricorda appunto nel giorno dell’Epifania. Il significato della sua presenza in una cerimonia religiosa è da attribuire al doppio potere del feudatario: temporale (l’arma, appunto) e spirituale (l’evangelario). Con la spada il Diacono di Cividale esegue dei segni di saluto e benedizione, sollevandola e fendendo l’aria. Anche l’elmo piumato sta a significare che il Patriarca era contemporaneamente responsabile di un territorio e delle sue anime.
Il fascino di questa ricorrenza prosegue anche dopo la messa solenne, al termine della quale prende vita una spettacolare Rievocazione storica dell’evento con il corteo di personaggi in costume, che si snoda per le vie della città: nobili, dame, armigeri, cavalieri, notabili, ancelle, falconieri, paggi, frati, eremiti, il gastaldo, l’araldo, il boia, il capitano, che indossano preziosi abiti riprodotti fedelmente dai costumi dell’epoca, ricostruiscono alla perfezione quell’atmosfera, immersa nei suoni e nelle melodie tipiche del Medioevo.
Storia e tradizioni si fondono anche nell’altrettanto tradizione Messa del Tallero a Gemona del Friuli, località tristemente famosa per il terribile e devastante terremoto del 1976, situata sulla sinistra del fiume Tagliamento, menzionata per la prima volta dallo storico cividalese Paolo Diacono, che nella sua Historia Longobardorum, la cita conme Castrum Glemonae, una fortificazione longobarda del 611 dopo Cristo. La Messa del Tallero si ricollega al momento di maggior splendore della località di Gemona, tra l’XI e il XII secolo, e nella serata del 6 gennaio un corteo storico di dame e cavalieri, al suono dei tamburi, accompagna il sindaco fino al Duomo di Santa Maria Assunta, dove ha luogo la Messa. Durante la funzione il primo cittadino, a nome della comunità, offre in dono all’Arciprete, rappresentante della Chiesa, un tallero d’argento, come segno di sottomissione del potere temporale a quello spirituale. Anche in questo caso i gesti, i rituali, i cerimoniali sono rimasti immutati nei secoli.
Lucio Leonardelli