Veneto

Brugnaro parla per la città metropolitana e fa il conto dei danni

Due miliardi di euro, Mose escluso, tanto servirebbe a Venezia. Se domani si potessero aprire tutti i cantieri necessari per mettere in sicurezza centro storico e le isole, per sistemare Porto Marghera e dotare la città delle infrastrutture di cui ha bisogno servirebbero, dice il sindaco Luigi Brugnaro. È la cifra che l’amministrazione sottoporrà al governo: «Spiegheremo ai cittadini italiani che intervenire a Venezia fa parte del loro interesse — spiega —. Altrimenti qualcuno pensa che facciamo il ponte di Calatrava, parliamo di infrastrutture, di porto, aeroporto, di sistema idraulico, di tutto ciò che comporta la vita di una città come la nostra: sono cifre necessarie».

Dopo un’acqua alta che ha rischiato di arrivare a picchi non lontani da quelli del 1966, Brugnaro rilancia al governo la necessità di salvaguardare la città. «È interesse nazionale che San Marco sopravviva e che Venezia sia tutelata — dice — che i visitatori vengano serenamente, che i residenti vivano tranquillamente con i servizi normali di una città viva». Quello del Comune è un appello a proteggere Venezia, per garantirle un futuro: «Quando parliamo di Mose, parliamo di un sistema complesso di interventi che comprendono anche i marginamenti di Marghera e i collettori di Pellestrina — precisa —. Tutto va visto insieme, non a singoli progetti». Intanto però l’acqua alta continua, oggi alle 16.30 è previsto un picco di 120 centimetri.

Per la conta dei danni però è ancora presto, a Venezia come per gli altri comuni della città metropolitana. Ca’ Farsetti dovrà tener conto dei 200 alberi danneggiati e dei 18 crollati per il vento, di cui la metà al Lido. «Danni ce ne sono, ma ce l’abbiamo fatta perché la città è resiliente: non vogliamo agire quando il ponte è caduto, vogliamo anticipare e lo faremo», sottolinea Brugnaro nel giorno in cui nel Veneto orientale scende il livello dei fiumi e con esso la tensione. Lì dove si è temuto di più per la tenuta degli argini permane lo stato di allerta ma la maggior parte degli evacuati ieri ha potuto rientrare a casa.

«Dobbiamo continuare a monitorare la situazione per il maltempo», dice però il sindaco di Noventa di Piave Claudio Marian. All’indomani della piena del Piave l’area golenale posta sotto il ponte della Vittoria di San Donà è ancora chiusa. L’acqua è rientrata nell’alveo ma a terra è ancora presente una enorme quantità di limo che va completamente asportato. Oggi il Comune potrebbe riuscire ad aprire quel collegamento e nel frattempo inizia la conta dei danni (solo 50 mila per la rimozione del fango nell’area golenale). «Auspichiamo di ottenere un indennizzo dalla Regione — dice il sindaco Andrea Cereser — abbiamo danni ovunque». Il Piave ha travolto anche una decina di abitazioni poste nella golena, un problema mai risolto: la loro posizione che è critica ad ogni innalzamento del fiume.

 

 

 

 

 

 

Il sindaco di Eraclea Mirco Mestre sottolinea l’importanza della prevenzione: «Bisognerà lavorare a monte sulla pulizia delle sponde perché l’accumulo di legna ostruisce il deflusso e può creare problemi gravi». Ma fra i possibili interventi c’è anche quello al largo: «Credo che qualcosa vada fatto perché ad ogni mareggiata la situazione è la stessa — aggiunge il sindaco di Jesolo — Il pallino è in mano alla Regione Veneto». I danni maggiori e già evidenti sono proprio sulla costa: Caorle, Bibione, Eraclea e Jesolo hanno visto il mare divorarsi la spiaggia. Mestre e come lui il primo cittadino di Jesolo e quello di San Michele al Tagliamento Pasqualino Codognotto stimano danni per milioni di euro. «Almeno due solo per rimuovere i detriti e rifare la spiaggia», dice Zoggia. Gli stessi che evidenzia Codognotto.

 

«Serve un piano completo — interviene il direttore generale del Consorzio di bonifica Veneto Orientale Sergio Grego — che comprenda rialzi arginali, potenziamento dei sistemi di pompaggio, revisione delle protezioni dei fiumi medi ma soprattutto opere di laminazione. Il nostro sistema di difesa idraulica è stato portato al limite della sopportazione, bastava un 5% in più e avremmo avuto i crolli».

A.C.M.

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