
Chi non ha mai cercato di vedere se una simpatica vecchietta, cavalcando una scopa, volasse sopra la casa? Stiamo parlando della Befana, tradizione popolare italiana che vuole che, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, la nonnina si cali nei camini, dove ciascun bambino ha lasciato appesa la propria calza, riempiendole con caramelle e dolcetti di ogni tipo per i bimbi buoni, mentre per i meno bravi riserva anche qualche pezzetto di carbone. La Befana (il cui nome deriva dal greco epifania ossia rendersi manifesto) è conosciuta da tutti come una vecchia che indossa una gonna lunga e larga tutta ricoperta di toppe colorate e, a causa di questo suo aspetto buffo e particolare, le si dedicano numerose filastrocche, una delle più celebri è: “La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte con le toppe alla sottana: Viva, viva la Befana!”.
Una delle feste popolari più diffuse è l’usanza di “ardere la vecchia” allestendo nelle piazze un enorme pupazzo di forma umana (composto da legna, stracci e fascine), che viene poi posto su una pila di legna e dato alle fiamme; secondo la tradizione, questo gesto è una specie di augurio per l’anno nuovo: la befana infatti rappresenta l’anno vecchio (per la quale viene giudicata e condannata al rogo) e per questo la si brucia sperando che quello nuovo sia migliore di quello passato.
In Veneto non può mancare la notte del “pan e vin”: un’antica tradizione che trasforma le piazze di molti paesi in una magica scacchiera di mille falò. La si può chiamare «Vecia» oppure «Stria» e, ovviamente, «Befana», certo è che il suo destino sarà quello di finire in cima ad una catasta di legno e arsa in un grande falò. La tradizione veneta è quella di bruciare, nella notte dell’Epifania o in quella precedente, un fantoccio con le sembianze di una vecchia signora così da lasciarsi alle spalle l’anno passato e trarre auspici per quello futuro a seconda dei movimenti delle scintille e del fumo.
La tradizione del Panevin fonda le sue radici nel lontano periodo celtico (circa V sec. A.C.) presso l’antico popolo dei Veneti; questo falò serviva per evocare il ritorno del Sole sulla Terra, cioè l’allungarsi delle giornate che inizia dal solstizio d’inverno. Il fuoco serviva per celebrare questo giorno che con il calendario Giuliano coincideva con il 25 dicembre.
Nel Medioevo, con l’evangelizzazione delle campagne venete, il Pane e Vin perse le sue origini pagane assumendo una connotazione cristiana. Il falò venne spostato al giorno dell’Epifania per ricordare i Re Magi che portarono i doni a Gesù Bambino. Secondo la leggenda i falò della campagna veneta furono loro utili per trovare la via di Betlemme essendosi persi.
Al loro ritorno, racconta sempre la leggenda, non vedendo nessuna luce nella campagna, si persero nuovamente nella pianura Padana andando a morire nel Milanese (ciò sarebbe testimoniato dalla presenza nel Duomo di Milano di un sarcofago con l’iscrizione “trium Magerum”). Nella notte del 5 gennaio nel Medioevo, come anche oggi, l’occasione del falò forniva al popolo un momento di unione e ritrovo con tutta la comunità cittadina davanti a un buon bicchiere di vino caldo (brulè) e un pezzo di pinza.
Una delle principali tradizioni legate al Panevin è quella di osservare in che direzione va il fumo; in base a questa, i contadini trevigiani predicevano se il raccolto dell’annata sarebbe stato buono o cattivo e oggi la predizione viene estesa agli eventi personali.
Questo momento è detto dei “pronosteghi” e funziona, all’incirca, secondo quanto recita un detto popolare come il seguente, anche se ne esistono molti altri:
“falive a matina, tol su el saco e va a farina” (cioè se la direzione presa dal fumo e dalle faville è il nord o l’est, prendi il sacco e vai ad elemosinare), “se le falive le va a sera, de polenta pien caliera” (se la direzione è ovest o sud, il raccolto sarà buono…quindi la pentola sarà piena di polenta), “se le falive le va a garbin tol su el caro e va al mulin” (se la direzione è del libeccio per l’abbondanza devi andare a prendere la farina con il carro). I primi fuochi della notte del 5 gennaio hanno spostato il vento a ponente, segno, dunque, di ottimi raccolti.
Anche oggi la tradizione del Panevin è molto diffusa nel trevigiano, ma anche il veneziano e il padovano fanno la loro parte. Se nella Marca spiccano i falò di Arcade. Miane o Conegliano, a Mestre è tradizione il falò della famiglia De Toni alla Gazzera o quello al Parco Catene, mentre a Padova l’appuntamento che richiamerà più visitatori sarà «Il grande falò in Prato della Valle».
Gian Nicola Pittalis