I Re Magi nella pittura
Storia di un'antica tradizione cristiana attraverso l'arte pittorica

«Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandarono: “Dov’è il re dei Giudei, ch’è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”. Così Matteo descrive nel suo Vangelo l’arrivo dei Magi in Terra santa.
Non si sa se i tre biblici viaggiatori siano realmente esistiti o se siano frutto di creazioni leggendarie. Nel Milione, però, Marco Polo narra di aver visto in Persia nella città di Saba la loro sepoltura «e sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli: l’uno ebbe nome Baltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior». Col tempo i Magi hanno assunto nell’immaginario popolare un’identità precisa, in gran parte tacitamente assecondata anche dagli storici e dagli artisti, affascinati dalla loro storia.
Nella fitta schiera di pittori, che hanno narrato sui muri delle chiese e sulle tele il biblico episodio, troviamo i nomi eccellenti di Giotto e Beato Angelico. Tuttavia l’opera più emblematica dei primi decenni del XV secolo, quando già si sta affermando a Firenze ad opera di Masaccio il nuovo linguaggio rinascimentale, è forse L’adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, conservata a Firenze nella Galleria degli Uffizi. Realizzata nel 1423 per Palla Strozzi, all’epoca il cittadino più facoltoso di Firenze, la pala è certamente il capolavoro dell’artista ma anche l’esito supremo del Gotico Internazionale in Italia, ossia di quello stile raffinato e colto, che cantava gli ideali cavallereschi e cortigiani di un mondo ormai al tramonto.
Destinata alla cappella della Basilica di Santa Trinita a Firenze, l’opera di Gentile da Fabriano non ha, in realtà, niente di devozionale. Sfavillante di ori e argenti, che traboccano dalle sontuose vesti dei re Magi e dei componenti del corteo, dalle corone, dalle spade, dalle decorazioni e dai finimenti dei cavalli, il dipinto appare alla fine come una sfarzosa celebrazione dell’opulenza del committente.
Anche il ciclo di affreschi, realizzato nel 1459 da Benozzo Gozzoli nella cosiddetta Cappella dei Magi di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, trascende in realtà ogni motivazione religiosa per trasformarsi in una fastosa raffigurazione mondana e fiabesca in onore della famiglia Medici.
È impossibile elencare tutti i pittori che, nel corso dei secoli, hanno affrontato l’affascinante tema dell’Epifania, dandone, ognuno, una personale interpretazione iconografica. Accanto ai nomi già citati, troviamo quelli di Botticelli, Leonardo, Raffaello, Dürer, Rembrandt (tanto per ricordarne alcuni) e, in terra veneta, quello di Giorgione, autore di una Adorazione dei Magi (1506?), conservata nella National Gallery di Londra. È un’opera giovanile, un po’ convenzionale ma che rivela, sia pur timidamente, l’inclinazione in chiave tonale della pittura del maestro di Castelfranco.
Vale la pena, invece, soffermarsi su un’altra opera di Giorgione: i Tre filosofi del Kunsthistorisches Museum di Vienna (1506-1508). Così la descrive Marcantonio Michiel nella sua “Notizia d’opere di disegno” del 1525: «tela a oglio delli tre philosophi nel paese, due ritti e uno sentado che contempla i raggi solari con quel saxo finto cusì mirabilmente».
Anche questo dipinto di Giorgione, pittore degli enigmi, è di difficile interpretazione ma non è azzardato pensare, che i tre personaggi siano in realtà i tre re Magi. Il cartiglio con i calcoli astronomici e la scritta celus in mano al più vecchio (Melchiorre?) e gli strumenti di misurazione posseduti dal più giovane (Gaspare?) fanno pensare a scienziati o astronomi-astrologi, quali erano in realtà i tre Magi, quasi sicuramente sacerdoti zoroastriani. L’altro personaggio in piedi con la pelle scura potrebbe essere Baldassarre. Certo è che il mistero s’addice a questi leggendari personaggi venuti dall’Oriente. Ma anche alla pittura di Giorgione.
Aldo Andreolo