Economia e Politica

Fenimprese. Parla Luca Mancuso

Abbiamo intervistato Luca Mancuso, presidente nazionale di Fenimprese per avere un quadro più preciso su quello che potrà avvenire dal punto di vista economico dopo l’emergenza Covid – 19.

Cos’è Fenimprese

Fenimprese è un’Associazione Nazionale Datoriale senza fini di lucro. Nata dall’incontro di  giovani Imprenditori e Dirigenti Associativi, che sentono sempre di più l’esigenza di essere rappresentati presso le istituzioni. Fenimprese agisce a livello nazionae per ottenere chiarimenti e presentare proposte volte al miglioramento dell’esistenza delle PMI.

L’intervista a Luca Mancuso, presidente nazionale Fenimprese

Dalla sua posizione di presidente di Fenimprese come state vivendo a livello nazionale questo momento di emergenza sanitaria? “Analizzare i reali effetti di una recessione economica nel sistema sanitario nazionale è molto complesso. L’impegno delle imprese in questo momento è importante. Nella difficile e durissima battaglia contro il contagio da Coronavirus nemico silente terribile ogni contributo fatto con entusiasmo ha un valore enorme, e in questi giorni le iniziative di tanti imprenditori per soccorrere il Paese mostrano un valore umano altissimo. Sono state numerose e importantissime le donazioni fatte direttamente agli ospedali o direttamente a favore della ricerca. In definitiva il mondo delle imprese risponde sempre presente”.

Le ricadute

Secondo lei quali potrebbero essere le ricadute sull’economia una volta usciti dalla crisi? “Le responsabilità dell’Europa sono gravi e si preannuncia una crisi economica mondiale provocata dal coronavirus. È probabile che con la diffusione della pandemia in tutta Europa e nel mondo blocchi l’economia, le previsioni peggioreranno ulteriormente, avvicinandosi agli effetti della crisi del 2008. Per l’Europa si prospetta una sostanziale stagnazione, con una caduta significativa per le economie più fragili, come l’Italia. Interi comparti distrutti come viaggi aerei, trasporti, turismo e food e commercio. La produzione, specie nella manifattura, dipende ormai in forte misura da sistemi di produzione internazionale con componenti prodotte in decine di paesi diversi, un sistema assai vulnerabile di fronte al blocco di attività legato alla pandemia. Gli effetti sul lavoro saranno la perdita di occupazione e di salario. Stiamo perdendo tra gli 80 e il 120 miliardi al mese. Sara durissimo recuperare”.

I rischi

C’è il rischio di un “fall down”? Ossia che dopo la crisi sanitaria possa nascere una crisi economica? “Sono altissime le possibilità che si verifichi un fall down. Le prospettive per l’Italia sono particolarmente dure e pessimistiche. La caduta libera del Pil 2020 potrebbe arrivare al 5%. Secondo alcuni addirittura, il 20% delle imprese ha avuto effetti negativi forti. Da evidenziare il forte peso della caduta dei redditi e quindi della domanda.

Inoltre, da ricordare che abbiamo un sistema produttivo indebolito da dieci anni come minimo di recessione e stagnazione, addirittura anche le misure per sostenere i redditi potrebbero non tradursi in aumenti di produzione interna o di ripresa in generale, ma rivolgersi all’importazione, come è già avvenuto nei casi delle mascherine, dei macchinari sanitari essenziali per combattere la crisi sanitaria. Dopo la crisi del 2008 la perdita del 25% di capacità produttiva è diventata permanente. Il rischio per il paese è che per effetto del virus  produca un analogo arretramento dell’economia italiana”.

Fenimprese e le aziende

Molte aziende si stanno reinventando per affrontare l’emergenza. Basta pensare a Ramazzotti, Armani, GoldenLady, Grafiche Venete. È un correre a convertire l’azienda in produzioni necessarie all’emergenza sanitaria. Ma dopo? “Evinciamo da tante testimonianze di imprenditori, che la riconversione della produzione aziendale per il coronavirus presenta tante difficoltà burocratiche che fanno desistere l’imprenditore. Nonostante si possa accedere agli incentivi per pmi di tutte le dimensioni, costituite in forma societaria, e localizzate sull’intero territorio nazionale, che dovranno realizzare un programma di investimenti, di valore compreso tra 200mila e 2 milioni di euro, che sarà agevolato fino al 75% con un prestito senza interessi (tasso zero). Secondo noi anche in chiave futura se non si tratta di aziende molto strutturate (multinazionali) si rischia di perdersi in lungaggini burocratiche e perdita di mission aziendale nel momento in cui bisognerà ripartire. Inoltre (essendo ottimisti) è troppo breve il tempo di questo business”.

Telelavoro e Fenimprese

Si parla tanto di “smart working” ma sembra che l’Italia non sia arrivata pronta, a differenza di altri paesi, all’appuntamento. L’emergenza può paradossalmente essere una spinta all’innovazione? “L’emergenza legata al coronavirus ha puntato i riflettori sul lavoro agile nelle aziende. Lo smart working, però, non va inteso solo come un servizio di pronta risposta alle emergenze quasi come solo da call center. È una modalità lavorativa ancora di nicchia, non ancora molto diffusa in Italia. In questi giorni, l’uso dello smart working è stato temporaneamente semplificato e applicato da multinazionali, piccole realtà e da studi professionali.

Al netto dell’emergenza della pandemia, invece, la diffusione di questo strumento nelle aziende italiane ha tutt’altro volto. La situazione, infatti, è fortemente arretrata rispetto agli altri paesi europei sempre secondo alcuni dati solo 58 su 100 hanno applicato la modalità del lavoro agile. A queste si aggiunge un 7% che ha attivato iniziative informali e un 5% che pensa di farlo entro i prossimi 12 mesi. La sfida per il futuro inerente alla tecnologia e sarà improntata sulla capacità di penetrazione della anche quando cesserà la pandemia. I top manager, che dovrebbero essere il vero volàno del cambiamento nella maggior parte dei casi non hanno abbastanza competenze tecnologiche o non sono in grado di organizzare in modo diverso i luoghi di lavoro quindi diventa difficile che comprendano le potenzialità dello smart working e che lo implementino”.

Il futuro

Che futuro vede Fenimprese? “Fenimprese vede un futuro positivo se: si eliminano tutte le tasse nel 2020, una moratoria per tutto quello che si sarebbe dovuto pagare nell’anno. Noi la definiamo Zero tax area. Eliminare tutti i tributi locali. Erogare finanziamenti a tasso zero, con durata per 20 anni, con garanzia statale, e la cifra erogata deve essere pari alla perdita che si è generata per colpa del coronavirus. Ovviamente le aziende devono essere obbligate a mantenere i posti di lavoro. Rivedere il sistema di riscossione, le rateizzazioni concordate prima della crisi. Nel 2021 ridurre la pressione fiscale”

L’opinione

Qual è, invece, il parere del presidente? “Io penso che occorre essere celeri, mettere in atto misure straordinarie e che i politici si calino maggiormente nella vita reale. Perché non sanno cosa significa avere un bar, un pizzeria o un ristorante chiuso, un negozio di abbigliamento che salta la stagione, un albergo senza prenotazioni, un complesso turisti che sarà deserto. Bisogna capire che siamo davanti ad una molto ipotetica pandemia sociale, abbiamo una popolazione in cassa integrazione. Imprenditori che non conoscono il loro futuro e si vedono sgretolare il loro sogno imprenditoriale. Bisogna intervenire subito perché quello che va bene oggi non è detto che andrà bene domani”.

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