Mille euro netti al mese: ecco perché non si trovano camerieri, baristi e pizzaioli

Generazione mille euro: un cameriere alla prima esperienza, assunto con regolare contratto di lavoro per il settore di riferimento (Turismo e pubblici esercizi), porterà a casa mille euro al mese netti (1.026 per la precisione), a fronte di 40 ore settimanali e una buona dose di fatica. «Ci sono settori con condizioni di lavoro decisamente migliori» commenta Alberto Irone, Filcams Cgil, «e non parlo solo dello stipendio ma anche degli orari e dello sforzo richiesto. È normale che poi in tanti siano migrati verso altre esperienze professionali». Cgil Treviso ha elaborato alcune simulazioni di buste paga per gli addetti dei pubblici esercizi, secondo le tabelle di riferimento del contratto nazionale di lavoro: si spiega anche con gli stipendi oggettivamente modesti la carenza di manodopera denunciata dai titolari.

Stipendi e orari

Chi inizia a lavorare per la prima volta in un bar o ristorante entra, di solito, con un quinto o un sesto livello. Vale per un’ampia fascia di professioni che include il cameriere alla prima esperienza, il barista (non il barman, più specializzato), il “lavapiatti”, il commis di cucina, cioè chi lavora accanto al cuoco o allo chef. Si va dai 1.026 ai 1.074 euro netti al mese, anche se – sottolinea Cgil – il calcolo non include assegni familiari o altre agevolazioni, e bisogna aggiungere tredicesima e quattordicesima.

Pizzaioli e cuochi

A un livello contrattuale più alto – il quarto – si trovano ad esempio pizzaioli e gelatai, che portano a casa 1.135 euro netti, sempre su un calcolo di 40 ore settimanali – diversamente distribuite nei giorni – e senza considerare eventuali straordinari. Va meglio, ma nemmeno troppo, ai maitre di ristorante (direttori di sala), ai sommelier e al “cuoco unico”, di fatto un ruolo apicale in un ristorante, il responsabile di tutta la cucina: 1.194 euro netti al mese.

La “migrazione”

Tanto? Poco? Dipende da una molteplicità di fattori (mance e straordinari, per esempio, sono elementi decisivi), ma secondo Cgil Treviso «di sicuro in altri settori, verso cui il personale è migrato in questi mesi, ci sono condizioni lavorative migliori dal punto di vista degli orari e della busta paga» sottolinea Irone. «Anche la qualità del lavoro ha un suo peso. Il contratto del turismo, per esempio, richiede anche una certa mobilità, in molti sono portati a preferire altre soluzioni. In fabbrica o nell’industria, per esempio, gli orari non sono così lunghi e pesanti come nel turismo». Altro aspetto da non trascurare: quanto è applicato il contratto di riferimento? «Il nostro calcolo considera lavoratori full-time inquadrati correttamente» risponde Irone, «il problema è che spesso si viene assunti con contratti part-time da 6 o 4 ore, e il resto viene pagato in nero. Vengono molto utilizzati anche i contratti a chiamata, con le ore in più pagate sempre in nero».
«Tre euro all’ora per turni massacranti di notte e nei festivi? No, grazie»

Le pagine social sono state invase da migliaia di commenti e messaggi. Quando si parla di retribuzione nei pubblici esercizi si tocca un nervo scoperto: i titolari si lamentano perché non trovano manodopera, ma i dipendenti si sfogano raccontando di condizioni lavorative al limite della decenza, stipendi da fame, diffuso lavoro nero e tutele scarsissime. E così nei messaggi si nascondono storie, denunce, speranze. Con un comune denominatore: non è mai la voglia che manca, quello che frena le assunzioni sono le condizioni proposte.
Stipendi e nero

Una proposta da duemila euro netti al mese per la classica “stagione” a Jesolo potrebbe sembrare allettante. Anzi, lo è sicuramente, finché non si scende nelle pieghe del contratto. E allora si scopre che più di qualche tassello è fuori posto: «Anno 2018 – racconta un lettore rispondendo al commento di un sindacalista – duemila euro al mese, ad agosto, per un lavoro in un chiosco a Jesolo. Per dieci ore e mezzo al giorno per 31 giorni: in totale sono 325,5 ore mensili. Dimenticavo: niente vitto e alloggio. Fanno 6,14 euro all’ora, e 750 euro di affitto per un monolocale». E ancora: «Io undici anni fa ho lavorato in un locale – la testimonianza di Marco – 1.200 euro al mese, 400 euro in busta paga, il resto a nero. Si lavorava sei giorni su sette, il sabato dalle 16 del pomeriggio fino a oltre le 3 del mattino».
Conclusioni

Un consiglio? Iniziate a pagare la professionalità invece di lucrare. I dati parlano chiaro. Le materie prime non sono aumentate. I costi si, da 10 al 40% a ristorante e trattorie. Inutile piangere il morto. Se volete chi sa lavorare non potete proporgli meno di quanto guadagna in disoccupazione con turni massacranti e spese a carico loro. Lo schiavismo è abolito da un pezzo..e tranquilli…voi ristoratori non state patendo la fame. Altri si.