"Si dice che ..."

… dobbiamo amare la nostra fragilità

Ho letto l’altra sera questo brano, postato da una collega su Facebook.

A me non è stato perdonato di essere un sognatore perché ho fatto un sogno irriverente troppo grande: ho sognato che la musica classica dovesse essere aggiornata, e pur mantenendo le stesse forme, dovesse tornare a parlare per raccontare il presente. Per inseguire questo sogno ho studiato tutta la vita e mi sono imbarcato nella composizione con una passione da non dormirci la notte. Quando quella musica era pronta e l’ho eseguita, ero emozionato e curioso di sapere cosa ne pensassero.

La risposta

E sapete cosa mi hanno detto? “Come ti sei permesso di metterti al livello degli dei? Non puoi neanche dire di essere un compositore …”. Ma io ho dovuto farlo, ho dovuto inseguire il mio sogno. Allora ho dovuto volare alto e sfidare quegli dei e poco importa che mi sia bruciato le ali come Icaro. Insomma, è stata dura, attaccato, ridicolizzato dai miei stessi colleghi, ho avuto due anni di depressione.

La fragilità

Certo, avrei potuto sparare a zero su tutti alimentando così il circolo di negatività, ma non è la mia indole e sono caduto nel buio della mia fragilità. Ma dentro quel buio, dopo due anni ho elaborato la mia reazione inconscia. Ho composto un concerto per violino e orchestra che penso sia molto più eloquente di mille parole messe insieme.

L’amore per la fragilità

Se le cose stanno così, allora noi dobbiamo amarlo quel buio, dobbiamo amarla la nostra fragilità, perché è nel buio della crisi che scocca la scintilla del cambiamento e la nostra fragilità potrebbe trasformarsi nella nostra forza. In altre parole dobbiamo accettare noi stessi con tutti i nostri difetti, le nostre imperfezioni, ma anche i nostri slanci verso i sogni impossibili. E solo se riusciremo a essere totalmente noi stessi e non ciò che gli altri hanno deciso e si aspettano da noi, la nostra vita sarà un’opera d’arte!

Le parole sono di Giovanni Allevi.           

Fragilità

Ora, noi viviamo in un’epoca in cui la fragilità sembra dover essere nascosta. Dove i risultati che si ottengono sono percepiti, all’esterno, come esenti da fatica e fuori dal buio della crisi. Dove regna lo stereotipo del “se fai il lavoro che ti piace, non lavorerai un giorno della tua vita”, dimenticandosi che l’uomo non ha tra i suoi bisogni primari il lavoro.

Spesso le persone ottengono le cose migliori dai momenti di crisi. Passano per periodi scuri e dannati, in cui sono obbligate ad accettare se stesse, come mai prima nella vita. Sono i momenti in cui la maschera cade e non c’è niente altro che nasconde il vero volto. Si è obbligati a guardarsi e vedere ciò che si è.

Non accade a tutti. C’è chi conduce la propria vita lungo il sentiero che ha stabilito o è stato stabilito. C’è chi non si pone domande. C’è chi non è obbligato a fare scelte rilevanti o a dover scegliere se stesso prima di altri o altro. C’è chi non si accorge di avere maschere. C’è chi tolta una maschera, se ne mette un’altra. C’è chi non conosce la propria fragilità perché la nega, costruendo un’armatura piena di fango.

C’è un mondo di sognatori fragili

C’è un mondo di sognatori fragili, perché i sogni possono essere sfuggenti e fumosi.

C’è un mondo di sognatori fragili che hanno sogni che pesano come macini e che li possono schiacciare.

C’è un mondo di sognatori fragili, che sono risvegliati da una tegola caduta sulla testa all’improvviso.

C’è ancora un mondo di sognatori fragili, che ama la propria fragilità e raccoglie i cocci di ciò che in loro si rompe per ricomporre qualcosa di nuovo, che il sogno aveva solo abbozzato.

C’è anche un mondo di sognatori fragili che soccombe di fronte alla propria fragilità e li frantuma in mille pezzi.


di Alessandra Marconato, Direttore Responsabile di 78PAGINE.www.78srl.it/78pagine

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