Don Paolo sacerdote calciatore
Quattro anni fa, nel luglio del 2016, lasciava la vita terrena Don Paolo De Grandi, stroncato da un malore sul campo da calcio della sua parrocchia di Campoluci vicino ad Arezzo. Don Paolo, che avrebbe compiuto 50 anni, era nato il 6 giugno del 1970, è stato ricordato con una festa dai suoi parrocchiani e dai molti amici sparsi in tutt’Italia.
Il sogno di Don Paolo
Don Paolo De Grandi aveva un sogno: portare il messaggio del Vangelo attraverso il calcio. Il suo desiderio è stato pienamente esaudito, anche se la sua vita è stata troppo breve ma vissuta ad alta velocità.
Don Paolo realizza il suo sogno
Desiderio realizzato perché Paolo De Grandi lasciava la vita terrena, facendo le due cose che più gli piacevano: stare con gli altri e giocare a pallone. Nello stare con gli altri, Don Paolo includeva verbi importanti: aggregare, divertire, insegnare, educare, capire, aiutare e, soprattutto, condividere. Condivisione era la parola chiave dell’attività pastorale di Don Paolo. Per attuarla usava spesso la lingua più universale del mondo: il calcio.
Tutto finito troppo presto
E su un campo di calcio è morto, sul campo dell’oratorio di Campoluci, la sua parrocchia, la parrocchia che aveva fatto crescere in modo esponenziale grazie alle sue mille idee e alla sua capacità di coinvolgere tutti, dal campione del mondo al pensionato. Su un campo di calcio è andato via, mentre si divertiva con i suoi ragazzi, morendo da calciatore.
La carriera di Don Paolo
Perché, prima di diventare Don Paolo, Paolo De Grandi era stato una promessa del calcio italiano: mezzala talentuosa delle giovanili dell’Hellas Verona, un numero 10 classico dai piedi buoni. Erano i primi anni ’80 ed il Verona non era una società qualsiasi, la coppia Bagnoli-Mascetti stava costruendo quella che sarebbe diventata la squadra che nel 1985 avrebbe regalato all’Italia il più bel miracolo calcistico della sua storia.
Don Paolo e il “vero calcio”
Paolo De Grandi si stava affacciando al grande calcio dalla porta principale ed era inevitabile per lui annusare un futuro in serie A con la maglia dell’Hellas. Non era né un presuntuoso né, come tutti i ragazzi della sua età, un sognatore, tutti glielo dicevano che era bravo perché aveva tutto per sfondare: corsa, tecnica, estro e il carattere giusto, non mollava mai, un numero 10 col cuore di un mediano. Correva veloce sul campo Paolo, veloce come la macchina dove era seduto una sera, quando uno schianto tremendo gli fece sfiorare la morte, apprezzare ancora di più la vita ma spazzar via in un colpo solo i suoi sogni.
I sogno si spezza
Paolo, però, non era tipo da abbattersi. Quando i medici gli dissero che non avrebbe più potuto giocare a livelli agonistici, decise che se non avrebbe potuto fare il calciatore, il pallone avrebbe fatto lo stesso parte della sua vita. Iniziò subito ad allenare dei ragazzi più giovani di lui, tra questi svezzò un Damiano Tommasi poco più che bambino, che, qualche anno dopo, sarebbe arrivato in nazionale.
Don Paolo allenatore
Prometteva da allenatore Paolo: anche questa volta non lo diceva lui, lo dicevano gli altri. Conosceva il calcio, ma, soprattutto, sapeva capire gli uomini e i ragazzi. Aveva come una corsia preferenziale che gli permetteva e gli avrebbe permesso in futuro di arrivare al cuore e alla testa della gente in tempi rapidissimi, senza giri di parole, anzi, a volte, con pochissime parole ma solo con lo sguardo. Allenare poi era forse più bello di giocare. Allenare gli permetteva di comunicare con gli altri e facendolo si stava rendendo conto che, oltre al pallone, cresceva in lui, con forza inarrestabile, la voglia di fare qualcosa per gli altri.
La condivisione
Stava nascendo in lui la parola simbolo della sua vita: condivisione. Ecco, allenare poteva saziare questo suo nascente desiderio di aiutare il prossimo attraverso la condivisione. Non sapeva Paolo che la vita gli stava riservando un’altra sorpresa: una visione allargata e inaspettata della sua vocazione ad allenare. Era l’estate del 1988, Paolo era da poco maggiorenne e partecipò come volontario a un viaggio a Lourdes come barelliere. Tra i suoi compagni d’avventura c’erano vari sacerdoti, tra questi Don Gino col quale, nel viaggio d’andata in treno, sentì un bisogno irrefrenabile di confessarsi. Fu quasi calamitato verso Don Gino.
Certo, non era una novità, Paolo era credente e praticante e si confessava abitualmente, ma quella con Don Gino fu “La confessione”. Paolo tirò fuori tutto quello che aveva dentro, tutti i dubbi e le domande che abitavano dentro un ragazzo di 18 anni a cui la vita aveva dato e tolto tanto. Dopo ore e giorni di chiacchierate con Don Gino, Paolo si sentiva sempre più sicuro, iniziò a trarre forza dai dubbi che l’assillavano, fino a quando il sacerdote, dopo che la frequentazione tra i due si era trasformata in una bella amicizia, gli pose una domanda secca e inattesa: “Paolo, vuoi farti sacerdote?”
Diventare Don Paolo
Paolo traballò, in quegli stessi giorni si era innamorato di una ragazza e aveva iniziato a programmare un futuro con lei, pensando a costruire una famiglia e ad avere, seppur giovanissimo, un figlio. La domanda di Don Gino non se l’aspettava proprio. Lui che prima aveva sognato di fare il calciatore e poi l’allenatore non aveva mai pensato di diventare sacerdote. In breve tempo, Paolo si rese conto che questa era l’unica strada per realizzare i suoi sogni e che gli avrebbe permesso di dedicarsi totalmente agli altri. Don Gino lo mise ulteriormente alla prova, l’invitò in una missione in Bolivia. Qui Paolo toccò con mano la povertà e capì quanto poteva essere bello darsi completamente agli altri. Dopo il viaggio Paolo non ebbe più dubbi e per la domanda di Don Gino era già pronta la risposta. Paolo De Grandi entrò così in seminario e ne uscì Don Paolo.
Dal Veneto alla Toscana
Dopo un periodo iniziale in un seminario a Verona, venne trasferito in un altro istituto religioso ad Arezzo, dove conobbe, dopo Don Gino, un altro uomo fondamentale per la sua crescita spirituale: l’allora Vescovo Gualtiero Bassetti, il futuro cardinale e attuale presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Bassetti era, all’epoca, Vescovo di Arezzo e prese subito sotto la sua ala protettrice Don Paolo. Il vescovo riconobbe in quel giovane seminarista delle qualità rare e aiutò Don Paolo a tirarle fuori, seguendolo e consigliandolo nel difficile percorso che un giovane incontra prima di diventare sacerdote. Fu il vescovo Bassetti, ad assegnare a Don Paolo, nel 2005 quando venne ordinato sacerdote, la parrocchia di Campoluci, una piccola frazione di Arezzo. La scelta non fu casuale, Campoluci era il posto ideale per mettere alla prova Don Paolo ed esaltare la sua voglia di mettersi in gioco per gli altri.
Don Paolo non perde lo spirito
Campoluci diventò il laboratorio di Don Paolo. Quello che Don Paolo ha fatto in sedici anni di sacerdozio a Campoluci lascia ancora increduli i suoi parrocchiani e chi ha avuto la fortuna di conoscerlo. La giornata di Don Paolo non sembrava composta da 24 ore, tante e quali erano le iniziative nelle quali era coinvolto. Creava e portava a compimento progetti e iniziative, ma era sempre presente per i suoi fedeli. Trascinava la sua comunità, trasformando una piccola parrocchia in un centro di aggregazione per giovani e uomini di tutte le età con il calcio come password per aprire il cuore e la passione della gente. Dove prima c’erano solo delle erbacce, Don Paolo fece costruire prima un campo di calcio, poi uno di pallavolo e un tendone per accogliere ed organizzare feste e incontri.
Il calcio continua
Grazie al calcio arrivarono sul nuovo campo di calcio di Campoluci gli eroi del mundial spagnolo Paolo Rossi e Ciccio Graziani (grandi amici di don Paolo), ex giocatori del Verona come Fanna, Sacchetti, Penzo e, insieme a loro, bambini, magistrati, alte cariche istituzionali, pensionati e mille altre persone. Tutti apparentemente diversi, ma in realtà uniti, prima nel divertimento e poi nella discussione, nell’approfondimento, non solo del parlare ma del vivere la parola di Cristo in momenti di riflessioni comuni creati da Don Paolo.
Un innovatore
E poi le iniziative, dal cilindro di Don Paolo sbucavano vacanze in montagne per parrocchiani che non potevano permettersele, anch’esse momento di svago ma soprattutto di meditazione e preghiera, quando Don Paolo, durante le escursioni a 2000/2500 metri, apriva la sua valigetta portatile ed estraeva il suo crocifisso componibile, calice, ampollina, purificatoio e, dopo aver fatto prendere tutti per mano, iniziava a condurre delle messe improvvisate ma rimaste indelebili nella mente dei suoi parrocchiani.
La collaborazione con l’Hellas
Don Paolo era anche un ponte verso il mondo per la parrocchia di Campoluci. Fu tra i promotori, infatti, del progetto “BAMBINI SENZA CONFINI”, grazie al quale dal 2012, in collaborazione con le vecchie glorie dell’HELLAS Verona, vengono ospitati ad Arezzo e Verona centinaia di bambini provenienti dalla Palestina. Il progetto “Bambini senza confini”, grazie alla raccolta fondi organizzata, ha permesso, negli anni, di ospitare circa 1200 bambini provenienti dalla Palestina.
Ancora la maglia numero 10 per Don Paolo
Ma Don Paolo è stato anche tante altre cose: cappellano della Questura di Arezzo, anche qui grazie ad un’intuizione del vescovo Bassetti, e vicepresidente della nazionale sacerdoti, dove indossava immancabilmente la maglia numero 10. E ora, a distanza di un anno, il vuoto enorme che ha lasciato in chi l’ha conosciuto e che si riunisce per ricordarlo a Campoluci viene in parte riempito dalle sue opere e dal solco che ha tracciato, dove cammina chi era bambino al suo arrivo ed è diventato uomo anche grazie a lui.
Il memorial
Sul campo di calcio doveva iniziare, proprio in questi giorni, l’abituale memorial dedicato a lui dai suoi parrocchiani e amici. L’emergenza COVID ha solo rimandato la manifestazione a tempi migliori. Sul campo di Campoluci a qualcuno sembra ancora di sentire la voce di Don Paolo, un simpatico rimprovero per un passaggio sbagliato o per un gol fallito o un’esultanza per un bell’assist di uno dei suoi ragazzi. Da lassù, sempre col 10 sulla schiena.
Domenico Ciotti