Veneto

Secondo giro di consultazioni. Draghi vuol partire dalla scuola

A chi gli chiede se il prossimo incontro sarebbe stato in Parlamento, risponde con un sibillino «vedremo». Mario Draghi è fatto così. Per lui, romanista di ferro, vale la nota battuta del più famoso allenatore della Juventus, Giovanni Trapattoni: non dire gatto se non l’hai nel sacco. Con la stessa prudenza che usava da governatore della Banca centrale europea durante le conferenze stampa a Francoforte, anche nel secondo giro di consultazioni non dice una parola fuori posto. È l’ora di abbozzare il programma, con la consapevolezza che una sola sfumatura può provocare conseguenze peggiori di uno scossone nel cambio fra euro e dollaro. Dice che occorrono tre grandi riforme: del fisco, della giustizia (civile) e della pubblica amministrazione, ma se ne guarda dal dettagliarle. Le cita perché quelle sono le tre cose che chiede l’Europa in cambio dell’enorme investimento sul Recovery Plan. La riforma fiscale «deve essere complessiva, disboscare la giungla delle agevolazioni e superare un sistema a macchia di leopardo».

Più investimenti

personale mira

Dice che occorrono più investimenti, perché «nell’ultimo quarto di secolo sono sempre scesi, e senza di loro, non c’è nessuna ripresa possibile». Sottolinea l’urgenza di «intervenire rapidamente sul blocco dei licenziamenti», ma non spiega come. Si spinge oltre solo a proposito della scuola, abbastanza per creare scompiglio fra i presidi: per lui l’anno andrebbe lievemente allungato, così da permettere ai ragazzi delle superiori di recuperare la didattica persa nei mesi più duri della pandemia. La strategia di Mario Draghi è costruita per cerchi concentrici. Non parla di ministri, di poltrone, né tantomeno di formule di governo. Parla riservatamente al telefono con tutti, ma quando è attorno al ferro di cavallo della stanza messa a disposizione per lui alla Camera dei deputati manda anzitutto messaggi all’esterno. Propone un solido ancoraggio «all’atlantismo e all’europeismo», battuta che serve a spazzar via le ambiguità filocinesi e filorusse del primo governo Conte. Dice che quello del Recovery Plan è solo il primo passo verso «un bilancio e un fisco comune». Ricorda che in Italia gli investimenti sono fermi da venticinque anni, ma se ne guarda dal denunciare di chi sia la responsabilità. Si sbilancia solo quando parla di imprese, proponendo di superare la logica dei contributi a fondo perduto a favore di investimenti sulla ricapitalizzazione delle aziende in difficoltà ma sane.

Le consultazioni

L’orologio del primo giorno del nuovo giro di consultazioni (ieri i partiti più piccoli, oggi i più grandi) dice che Draghi accelera. Il calendario aveva programmato l’uscita dell’ultima delegazione alle 18, accade alle 18.09. Il neopremier vede mercoledì mattina sindacati e imprese, dopodiché attenderà il sì formale dei Cinque Stelle e il voto della piattaforma Rousseau fra gli elettori dei Cinque Stelle, giovedì. I più ottimisti sostengono che Draghi salirà al Colle venerdì per sciogliere la riserva, ma nel transaltantico di Montecitorio c’è chi ipotizza ciò avverrà solo all’inizio della prossima settimana. Una cosa è certa: il Quirinale gradirebbe un governo nel pieno delle sue funzioni entro la fine di questa settimana, poiché lunedì scade il termine fissato dall’ultimo decreto presidenziale sul divieto di circolazione fra Regioni e di apertura degli impianti sciistici. Ma fra il dire e il fare c’è di mezzo la squadra di governo, il rebus più difficile. E’ il tema ricorrente delle telefonate con i leader dei partiti e il Colle. Sarà una sapiente miscela di personalità politiche e non. Le caselle più importanti e divisive (Interni, Giustizia, Economia, Lavoro) non potranno andare ai partiti, pena per Draghi rapidi problemi di navigazione. I mercati per ora si fidano ciecamente delle sue doti da timoniere: lo spread fra i titoli decennali italiani e tedeschi ieri si è stabilizzato a 95 punti base, numeri che non si vedevano da cinque anni a questa parte. Con un però: cinque anni fa non era la Banca centrale europea ad essere il primo acquirente in titoli pubblici italiani.

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