Veneto

I medici veneti vogliono il lockdow

«Fermiamo la strage. Basta con i “pannicelli caldi”. Serve il lockdown, venga istituita la zona rossa generale». I medici veneti decidono di fare fronte comune, bocciando le misure adottate dal Governo con il recente decreto legge, che disciplina il comportamento degli italiani fino all’Epifania, in un balletto tra zone rosse e arancioni. Con un appello al premier Conte e al presidente Veneto Zaia: «l’immediato ritorno alla linea del rigore». E questo «su tutto il territorio nazionale a cominciare dal Veneto».

Bocciatura

Una sonora bocciatura che trova forma in un comunicato congiunto firmato dalle principali sigle sindacali della sanità: Aaroi, Anaao Assomed, Anpo Ascolti Fials medici, Fassid Snr, Federazione Cimo Fesmed, Cisl medici, Fp Cgil medici e dirigenti Ssn e Fvm federazione veterinari e medici. «Il tempo dell’attesa e delle rincorse è finito, il tempo delle mitigazioni e dell’Italia a colori è finito. Da oggi non inizia un periodo festivo, ma di lutti, di cui dobbiamo invertire la drammatica evoluzione che stiamo osservando in questi giorni» esordiscono, in maniera estremamente cruda, i medici veneti. Chiedendo il pugno di ferro.

Per i medici zona rossa ovunque

Di fatto, l’istituzione di una zona rossa comune a tutte le 20 regioni italiane, compresa la nostra, finora sfuggita alle decisioni più estreme da parte di Roma. «È dall’8 novembre che chiediamo l’istituzione della zona rossa. La grande differenza che stiamo notando adesso rispetto alla prima ondata consiste nell’elevato tasso di occupazione delle terapie sub-intensive, vale a dire i reparti di Medicina trasformati con caschi Cpap, respiratori e ventilatori ad alti flussi» spiega Giovanni Leoni, vice presidente nazionale dell’Ordine dei medici, segretario regionale di Cimo e tra i firmatari del comunicato congiunto. «La malattia non si deve combattere all’interno degli ospedali, ma per le strade e nelle case. Perché chi viene ricoverato si trova in uno stadio già molto avanzato dell’infezione. Se non chiudiamo tutto subito, per almeno un mese, i nostri studenti non potranno nemmeno tornare a scuola il 7 gennaio, perché i dati epidemiologici ce lo impedirebbero. Oltre a questo, il personale ospedaliero è stremato. Già a dicembre del 2018, la regione aveva dichiarato la carenza di 1.300 medici, di cui 150 di pronto soccorso e 150 anestesisti. E dalle stime di allora non è cambiato molto. È necessario procedere subito con un’inversione di tendenza, non sapendo cosa avverrà all’interno delle case, durante le feste. Mi appello alla responsabilità dei singoli cittadini».

Problema ospedali

E un’inversione di tendenza immediata è anche quello che chiede Adriano Benazzato, segretario regionale di Anaao. «Tra zone gialle, rosse e arancioni, la gente è molto confusa, come è normale che sia. Per questo chiediamo chiarezza, subito: l’istituzione della zona rossa. La nostra regione gode di un’importante organizzazione sanitaria, ed è vero. Ma anche un rete ospedaliera solida come la nostra deve fare i conti con la violenza della diffusione di questo virus. Perché i contagi ci sono e si tradurranno, nel giro dei prossimi 15-20 giorni, in nuovi ricoveri ospedalieri. Uno su cinque, nei reparti di terapia intensiva. C’è un limite a tutto, anche alla capacità della rete ospedaliera veneta di assorbire i malati che arriveranno. Dobbiamo fare in modo di non raggiungere il temuto punto di non ritorno». Senza contare che, parallelamente all’emergenza Covid, rimane tutta l’attività non prorogabile. «Non è più, come durante il lockdown, quando si erano praticamente azzerati gli incidenti stradali e i traumi». Aggiunge Flora Alborino di Anpo: «Con il blocco delle attività programmate e specialistiche, i pazienti ospedalieri non Covid hanno perso i loro punti di riferimento. Per questo è fondamentale che venga istituita subito la zona rossa, almeno per un mese, perché questa possa portare a una diminuzione dei contagi e, di conseguenza, dei ricoveri. Per una migliore gestione della situazione».

Sovraccarico

Il problema, dunque, rimane il sovraccarico dei reparti ospedalieri. Conferma Massimiliano Dalsasso, presidente di Aaroi-Emac: «Abbiamo un grandissimo carico di lavoro, partendo da un contingente di operatori di anestesia e di rianimazione già deficitario. E la pressione, nei reparti, continua. I numeri dei ricoveri in terapia intensiva dicono che siamo fermi a una situazione tutt’altro che favorevole. E le percentuali dei decessi, a partire dai ricoveri ospedalieri, sono estremamente elevate e preoccupanti. È necessario salvaguardare la salute pubblica e, per noi, avere la possibilità di curare correttamente i nostri pazienti. Il nostro timore principale è proprio questo: arrivare a un punto di non ritorno, oltre il quale non potremo più lavorare al meglio e con serenità».

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