Il debito pubblico dell’area euro è salito da una media inferiore al 60% del Pil agli inizi degli anni Novanta a oltre il 90% nel 2015. Lo afferma il Fondo monetario internazionale nel working paper «Fiscal Policy in the Euro Area», sottolineando che l’aumento del debito è stato «pronunciato nel 2009 e nel 2010, al picco della crisi».
L’Italia, secondo l’organizzazione di Washington, è un «tipico esempio di Paese con un alto rapporto tra Pil e debito pubblico»: «è una nazione che ha scarso o nullo spazio di intervento fiscale». Il Fmi, sottolinea anche che «la principale sfida per l’Italia è la ricomposizione di «cuscinetti» di bilancio al fine di perseguire una politica fiscale ben ancorata in una strategia di medio termine».
Inoltre i Paesi dell’Eurozona violano le regole del Patto di Stabilità in maniera a volte «sistematica».
Per esempio, gli obiettivi fiscali di medio termine dal 2002 al 2015 sono stati violati «ogni singolo anno da quasi due terzi dei Paesi membri». Il rispetto delle regole, osserva il Fmi, «è peggiorato in maniera particolare durante la crisi: nel 2009 gli obiettivi di medio termine sono stati violati dal 90% dei Paesi, il tetto di debito dal 50%, il limite del deficit dall’85% e l’aggiustamento fiscale richiesto dal 75%». In parallelo, «la quota di Paesi con un debito superiore al 60% del Pil è salito dal 35% nel 1999 al 75% nel 2015». Secondo l’istituto di Washington per assicurare il rispetto delle regole è opportuno «rendere le sanzioni più accettabili politicamente», anche perché le sanzioni economiche per chi sfora non fanno che «esacerbare le difficoltà finanziarie di governi già sotto stress», e «creare benefici tangibili per chi rispetta le regole» come, ad esempio, una maggior quota di fondi strutturali”.
Secondo il Fondo monetario l’Eurozona soffre di un «deficit di legittimità democratica» che ha «radici complesse e molteplici», tra le quali spiccano le «limitate competenze del Parlamento Europeo» che «creano un senso di carenza di democrazia». «Il Parlamento Europeo non ha iniziativa legislativa, non ha supervisione sul Consiglio Europeo e può sfiduciare la Commissione solo in blocco (non per singolo Commissario)», si legge nel documento, «di conseguenza, le istituzioni europee sono spesso percepite dall’opinione pubblica come entità non elette che non devono chiedere conto a nessuno». Tra le ragioni per le quali le istituzioni europee vengono percepite dall’opinione pubblica come poco democratiche vi è «la mancanza di trasparenza nel processo decisionale». «Su molte questioni le decisioni vengono prese a livello intergovernativo (piuttosto che sovranazionale), il che consente una minore vigilanza democratica», si legge nel documento.
Un altro punto critico è «la complessità e la sofisticatezza del quadro di governance, in particolare in campo fiscale, che lo rende difficile da comprendere». «Questo problema è in qualche modo esacerbato dalla molteplicità di schemi di monitoraggio, che a volte produce messaggi contraddittori», sottolinea ancora il Fmi, «tutti questi fattori si sono tradotti in una mancanza di trasparenza e di titolarità del Patto di Stabilità». «Sfruttando questo gap di legittimità, i politici nazionali hanno teso ad attribuire al centro la responsabilità di decisioni difficili e politicamente costose», conclude il Fmi, «durante la crisi finanziaria globale, il fatto che alcuni piani di assistenza fossero stati condotti sotto la sorveglianza della Commissione Europea ha rafforzato la percezione secondo la quale l’austerità fiscale veniva imposta da Bruxelles piuttosto che dalla necessità di riguadagnare un normale accesso ai mercati, di ricostruire cuscinetti e di riguadagnare credibilità dopo la crisi».
(M.S)