Il Pd del Fvg domenica riunito per decidere il dopo Serracchiani
Ma sul centrodestra c'è lo spauracchio primarie

Il treno di Matteo Renzi ha attraversato il Friuli Venezia Giulia e, seppur non ufficialmente, si porterà dietro anche Debora Serracchiani per la quale, ancorchè lei non lo abbia detto “urbi et orbi”, è ormai certo che il suo futuro sarà nella Capitale, da dove peraltro è originaria. Nulla è stato comunque annunciato da parte del segretario Dem rispetto a ciò, che ha di contro rimandato ogni decisione al Pd locale, ma il dado è tratto e a sancire quello che avrebbe dovuto essere comunicato ancora lo scorso luglio sarà senza dubbio l’assemblea che il Pd terrà domenica alle 17 a Udine.
In tale circostanza, almeno questo sembra essere l’auspicio visti anche i tempi sempre più ridotti, dovrebbe essere definito il passaggio di consegne tra la presidente e il suo vice Sergio Bolzonello che, seppur non amato dalla parte più a sinistra del partito, oltre che da Mdp e Sel, sarà con tutta probabilità colui cui spetterà il compito, tutt’altro che facile, di garantire al centrosinistra la riconferma alla guida della regione.
Compito non facile si è detto perchè, a quanto pare, ci sarebbero ancora dei mal di pancia da gestire, primo fra tutti quello del presidente del consiglio regionale Franco Iacop, il quale però avrebbe strappato a Matteo Renzi, proprio in occasione della sua presenza in Fvg, la possibilità di avere un collegio senatoriale sicuro, sempre ammesso che, ad oggi, con la nuova legge elettorale esistano realmente collegi definibili sicuri.
Ci sono poi i malesseri che arrivano dalla sponda triestina, se è vero com’è vero che, con in testa l’attuale senatore Francesco Russo, ci sarebbe ancora chi spera di poter proporre una figura esterna quale quella del rettore dell’Università di Udine Alberto De Toni o addirittura ripescare il nome di Riccardo Illy, che sembra essere però alquanto riottoso al riguardo, se non altro a fronte di una inevitabile spaccatura che di certo non gli gioverebbe.
In questo contesto si inseriscono anche gli orlandiani ai quali il nome di Bolzonello non sarebbe particolarmente gradito e non è un mistero che gli preferirebbero quello dell’attuale assessore all’agricoltura Cristiano Shaurli, che avrebbe dalla sua peraltro quella di essere udinese e si sa che, a parte nel 2003 quando fu eletto Riccardo Illy, è sempre Udine con il suo notevole bacino di voti a condizionare, in qualche modo, nomi e scelte.
“Quello di Bolzonello – ci ha detto un autorevole, ancorchè anomino, dirigente udinese del Pd – è un nome di assoluta garanzia, se non altro perchè ha dimostrato le sue capacità di amministratore nei dieci anni in cui ha fatto il sindaco a Pordenone e in questi cinque anni da vicepresidente e assessore alle attività produttive, dopodichè è pur vero che all’interno del Pd vi sono più anime che, di fatto, porterebbero verso altre scelte, ma la maggioranza del partito è senza dubbio compatta sulla sua candidatura che potrebbe anche consentire un’apertura più efficace verso quel mondo di liste civiche e di area moderata che, alla fine, potrebbe essere determinante rispetto al risultato finale”.
Ipotesi da non escludersi a priori, comunque, rimane sempre quella delle primarie, anche se non sembra essere all’orizzonte, se non altro perchè ci sarebbe poco tempo per organizzarle in modo adeguato e potrebbero rischiare di alimentare ulteriori tensioni di cui il centrosinistra, attualmente al di sotto nei sondaggi sia rispetto al centrodestra che al Movimento 5 Stelle, non ha certamente bisogno.
Di primarie però se ne sta parlando sul fronte proprio del centrodestra dove non è evidentemente bastata la “scoppola” del 2013 allorchè perse le elezioni proprio per le divisioni interne per cui ora, dimostrando ancora una volta una forte dose di autolesionismo, quella che pareva essere una soluzione improponibile è ritornata invece di attualità.
Ciò a seguito della forzatura fatta sia da parte della Lega che di Fratelli d’Italia, sulla scia dei risultati conseguiti in Sicilia, che hanno decisamente puntato i piedi attraverso i rispettivi segretari Matteo Salvini e Giorgia Meloni per proporre l’uno Massimiliano Fedriga e l’altra Luca Ciriani o, in alternativa, Fabio Scocimarro, spiazzando di fatto la coalizione che pareva avesse trovato la sua “quadra” attorno al nome del forzista Riccardo Riccardi.
E proprio l’esponente di Forza Italia di primarie non ne vuol assolutamente parlare, forte del fatto che ha dalla sua la compattezza del partito regionale, a cominciare dalla coordinatrice Sandra Savino, oltre alla benedizione giunta in tempi non sospetti da parte di Silvio Berlusconi. Ma quanto avvenuto in Sicilia, pur in condizioni del tutto diverse, fa capire che lo stesso leader di FI potrebbe anche fare un passo a lato per il bene della coalizione, però difficilmente in Fvg si accetterebbe una simile ipotesi se non altro perchè è ancora vivo il ricordo di quando nel 2003, proprio per una scelta esterna che, si disse, doveva tenere unita la coalizione, venne imposto il nome di Alessandra Guerra in alternativa a quello di Renzo Tondo, con una colossale frattura nel centrodestra che diede campo aperto alla vittoria dell’industriale triestino del caffè.
Per evitare che ciò riaccada la stessa Savino si è già mossa con Berlusconi affinchè in Fvg, tenendo conto che la Lega correrà in Lombardia con Roberto Maroni, ci sia un candidato di espressione forzista quale è appunto Riccardi, sempre che Renzo Tondo non decida di sparigliare le carte riproponendo il suo nome.
Un quadro, in definitiva, estremamente complesso su entrambi i fronti principali, in attesa che a dicembre si sappia l’esito delle “regionarie” da parte dei pentastellati e che la giunta regionale decida di fissare il giorno in cui si andrà alle urne, tenuto che difficilmente si andrà in contemporeanea con le politiche mentre appare più probabile il periodo tra fine maggio e inizio giugno, con la convinzione del centrosinistra di poter recuperare nel frattempo il margine di svantaggio di cui verrebbe accreditato, anche alla luce di quella che a più parti viene vista come la “grande fuga” di Debora Serracchiani.
Lucio Leonardelli